La difesa del Parma regge per 60 minuti poi si scioglie, l'attacco non punge e quell'occasione di Pellegrino...

C’è stato un momento, in quel primo sabato di campionato, in cui il Parma ha davvero dato l’impressione di poter uscire dallo Stadium con qualcosa in mano. Sessanta minuti di ordine, attenzione, spirito di sacrificio e compattezza. Sessanta minuti in cui la squadra di Cuesta ha saputo soffrire senza sbandare, contro una Juventus che - pur non brillantissima - poteva contare su talento, esperienza e profondità. Ma poi, come spesso accade quando reggi troppo a lungo senza mai pungere davvero, l’equilibrio si è rotto. E una volta rotto, non si è più ricomposto.
Il gol di David al 60’ ha fatto calare il sipario su un Parma che fino a quel momento era stato solido, anche se tutt’altro che pericoloso. Da lì in poi, la squadra si è lentamente sfilacciata, ha perso distanze, lucidità e coraggio. Una trasformazione quasi inevitabile per una squadra giovane, rimaneggiata, e soprattutto orfana di alcune pedine fondamentali in difesa. Le assenze pesano sempre, ma in certi stadi e contro certi avversari, diventano montagne da scalare.
Eppure, qualcosa da salvare c’è. Il lavoro fatto per chiudere gli spazi, per limitare le fonti di gioco bianconere e contenere le accelerazioni di giocatori come Conceicao e Yildiz, è stato visibile. La linea difensiva, guidata con ordine per un’ora, ha retto l’urto finché ha potuto, aiutata da un centrocampo generoso e da esterni sempre pronti a raddoppiare. Cuesta aveva preparato la gara cercando di colpire in transizione e, almeno una volta, il piano aveva funzionato: su una delle poche vere ripartenze ben orchestrate, Almqvist semina il panico e serve un pallone d’oro a Pellegrino. Tiro da dentro l’area, da posizione favorevolissima, ma Bremer - monumentale - si immola e salva tutto. Un episodio che avrebbe potuto scrivere un’altra storia. Ma il calcio, si sa, non vive di ipotesi.
Nel post-partita, lo stesso Cuesta ha ammesso i limiti tecnici evidenziati dai suoi nei momenti in cui si trattava di gestire il possesso. "Abbiamo avuto la possibilità di gestire un po’ la palla, ma a volte non ci siamo riusciti", ha dichiarato con onestà. E proprio lì si è vista la differenza tra chi è abituato a giocare certe partite e chi ci sta provando a entrare piano piano. Il Parma, in questo senso, è un cantiere ancora aperto: l’idea di gioco c’è, la compattezza pure, ma manca la qualità nei passaggi decisivi, la personalità nei momenti chiave e, soprattutto, la profondità della rosa per reggere un’intera stagione di Serie A.
Con l’Atalanta di Juric già all’orizzonte, il tempo per riflettere è poco. Ma una riflessione va comunque fatta, e riguarda il mercato. Servono rinforzi, e servono in fretta. Perché questo Parma ha dimostrato di avere una base su cui costruire, ma anche limiti strutturali che rischiano di diventare pesanti se non corretti tempestivamente. Ora tocca alla dirigenza muoversi, se davvero si vuole lottare per qualcosa più della semplice salvezza. Nel frattempo, resta il rimpianto per un’occasione sfumata e la consapevolezza che il campionato è appena iniziato. Ma per evitare che le buone sensazioni restino solo tali, serviranno risposte concrete. Già dalla prossima.
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