Scala a GdS: “Rifiutai Madrid perché sono un sognatore. Di Parma mi ricordo l’amore della città”

01.09.2025 18:36 di  Edoardo Mammoli   vedi letture
Scala a GdS: “Rifiutai Madrid perché sono un sognatore. Di Parma mi ricordo l’amore della città”
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© foto di Giovanni Padovani

Nevio Scala è stato l’allenatore capace di portare il Parma sui grandi palcoscenici, ma nel suo percorso in terra ducale ci sono state anche tentazioni dall’estero, in particolare da Madrid. Proprio di questo Scala ha parlato in un’intervista pubblicata quest’oggi su Gazzetta.it: "Mi telefonarono a casa, non c’erano ancora i cellulari. Non ricordo il nome del dirigente, mi disse che parlava a nome del presidente Ramon Mendoza, che mi voleva a tutti i costi. Mi espose il progetto e chiese la mia disponibilità. Io presi tempo, gli risposi che ci saremmo sentiti di lì a qualche giorno. Però, nel frattempo, a Madrid la notizia cominciò a circolare e un giornalista della Gazzetta, Alberto Cerruti, che era un mio caro amico e aveva buoni contatti in Spagna, venne a conoscenza della proposta che mi aveva fatto il Real. Mi chiamò a casa, mi chiese se era tutto vero, glielo confermai, e così la Gazzetta poté pubblicare quello scoop".

Continua: "Allenavo il Parma, che era al primo campionato di A. Squadra giovane, ragazzi di talento, un progetto che condividevo con la proprietà, quindi con il cavalier Calisto Tanzi, e con i miei collaboratori, Ivan Carminati e Vincenzo Di Palma. Alla fine dell’andata eravamo secondi in classifica, dietro l’Inter capolista e al pari della Juve. Nell’ultima giornata del girone avevamo battuto 2-0 al Tardini il grande Milan di Sacchi: doppietta di Melli. Sui giornali il Parma si era guadagnato un notevole spazio, considerando che eravamo appena arrivati sul grande palcoscenico. Giocavamo un bel calcio, eravamo una provinciale, facevamo simpatia".

Perché disse no al Real? "Perché ero un sognatore, e lo sono ancora. Avevo in mente di vincere qualcosa d’importante con il Parma, che consideravo una mia creatura. Non me la sentivo di lasciare i miei ragazzi. Eravamo una famiglia e un buon padre di famiglia non se va dall’oggi al domani. Alla lunga ho avuto ragione: quell’anno ci qualificammo per la Coppa Uefa con il sesto posto, poi vincemmo la Coppa Italia contro la Juve nel 1992, la Coppa delle Coppe a Wembley nel 1993, la Supercoppa europea contro il Milan di Capello nel 1994, la Coppa Uefa nel 1995. Insomma, anche restando a Parma il mio nome fece il giro d’Europa".

Che cosa ricorda dei suoi sette anni a Parma?  "L’amore della città per una squadra che, con pazienza certosina, avevo costruito. C’era Minotti, il capitano, c’era Apolloni, c’era Zoratto, c’era Melli che aveva la testa calda, ma era una pasta di ragazzo e aveva un grandissimo talento. Se solo mi avesse ascoltato un po’ di più, avrebbe fatto una carriera incredibile. Aveva tutto: tecnica, fisico, era bravo in acrobazia, vedeva la porta. Però viveva secondo l’istinto, e non secondo la ragione: quello è stato il suo limite".

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