Lucarelli: “Ho provato a salvare il Parma. Restare è stato un atto di responsabilità”

20.10.2025 18:53 di  Francesco Servino   vedi letture
Lucarelli: “Ho provato a salvare il Parma. Restare è stato un atto di responsabilità”
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© foto di Giovanni Padovani

Alessandro Lucarelli, bandiera e storico capitano del Parma, che è rimasto con la squadra anche in Serie D, riuscendo a riportare il club in Serie A, è stato ospite al podcast Centrocampo e ha parlato della sua esperienza di quegli anni: “Sono rimasto al Parma anche dopo il fallimento perché mi sentivo addosso questa responsabilità. Nel momento difficoltà era già 5-6 anni che ero nel Parma, ero capitano da 2-3, conoscevo tutto l’ambiente, mi volevano bene. Ero in un momento di difficoltà dove a un certo punto non c'era più neanche la società, non c'erano dirigenti, non c'era il presidente ed io ero diventato l'unico punto di riferimento non solo della squadra, ma anche della tifoseria, della città, dei giornalisti. Mi son trovato catapultato sotto riflettori 24 ore su 24, tutti i giorni. Questa cosa io l'ho presa come un atto di responsabilità nei confronti della piazza che stava soffrendo. I tifosi vedevano in me l'unico punto di riferimento o quella persona che poteva fargli sapere cosa sta succedendo, provare a dare una mano e più che altro a far rispettare la propria squadra in giro per l'Italia. Noi andavamo in giro con gli sponsor che pagavano per le trasferte, i pullman e gli alberghi. Noi abbiamo passato momenti nei quali mentre ci allenavamo vedevamo portar via i computer e gli attrezzi da palestra. Tante volte raccoglievamo soldi tra di noi per le cose di uso quotidiano che fossero la l'acqua, le fasciature, le garze perché comunque non c'era più niente. Una roba a livello di Serie A veramente improponibile, vergognoso".

Lucarelli ha poi parlato della possibilità di andar via dalla città ducale, nel momento del fallimento della società: “Non ho mai pensato di lasciare Parma, perché io a febbraio in un'intervista dissi: "Io sto combattendo per cercare di salvare il Parma, se dovesse andar male son pronto a rimanere anche in Serie D”. Ci credevo veramente. Io ero uno ero uno di loro. Ero un dipendente del Parma, non più un giocatore, quindi dovevo fare di tutto per cercare di salvarlo. Dietro di noi giocatori c'erano magazzinieri, massaggiatori, dipendenti che con questi stipendi ci mandavano avanti le famiglie e tante nostre battaglie erano appunto per cercare quantomeno di recuperare soldi per pagare quelli di stipendi, perché poi era gente che veniva tutti i giorni al campo, veniva in sede e continuava a lavorare. Sarebbero potuti tranquillamente restare a casa. Invece era tutta gente innamorata del Parma e continuava a venire a lavorare senza prendere lo stipendio. Come facevo da capitano a voltare le spalle a queste persone? Io dovevo essere lì in prima fila, dovevo caricarmi tutti sulle spalle, andare dritto e cercare di trovare una via d'uscita. Quando poi ho ricevuto la notizia in tribunale il 22 giugno che il Parma era fallito mi è crollato il mondo addosso. Tutto quello che avevo fatto da settembre a giugno non era servito a niente. Erano venuti a casa gli imprenditori per capire quali erano debiti, come si poteva sanare la situazione, quali erano giocatori di proprietà, che valore avevano per i eventuali soggetti interessati, cioè io avevo fatto anche questo quell'anno. Non riuscire a salvare il Parma è stata una sconfitta personale mia e anche secondo me nei confronti dei tifosi, perché alla fine non gli avevo portato a casa il risultato".

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