Balogh: "Voglio di più da me stesso. Dopo aver cambiato l'alimentazione non ho più avuto infortuni"

01.02.2023 15:06 di Giuseppe Emanuele Frisone   vedi letture
Balogh: "Voglio di più da me stesso. Dopo aver cambiato l'alimentazione non ho più avuto infortuni"
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© foto di Daniele Buffa/Image Sport

Lunga intervista al sito ungherese Bunteto per il difensore del Parma Botond Balogh, ultimamente utilizzato da Fabio Pecchia con una certa continuità, anche a causa delle indisponibilità nel pacchetto arretrato.

Nella stagione 2020-2021 hai giocato quattro partite con il Parma in Serie A, cinque in seconda divisione l'anno successivo, e ora dopo mezza stagione sei a nove. Sei soddisfatto o avresti voluto migliorare più velocemente?
"Sono arrivato al Parma a 17 anni, e già allora facevo parte della prima squadra. Come hai detto, nella stagione 2020-2021 sono stato convocato dall'Under 19 alla Nazionale maggiore con altri tre compagni di squadra, e ho giocato tre partite di Serie A e una partita di coppa. Non mi aspettavo che sarei rimasto con la prima squadra. All'epoca l'allenatore era Fabio Liverani, gli piacevo e molti compagni di squadra sono stati fuori a causa dell'epidemia di coronavirus. Poi c'è stato il cambio di tecnico, il nuovo allenatore ha preferito Dierckx. Poi è arrivato l'Europeo U21, che ho disputato a 18 anni".

Questo ha cambiato la tua situazione a Parma?
"È arrivato anche un nuovo direttore sportivo, che mi ha riportato in prima squadra e ho potuto giocare di nuovo una partita in Serie A. Poi abbiamo un altro allenatore, abbiamo adottato ancora un nuovo modo di giocare e siamo stati retrocessi in seconda divisione. Ho iniziato bene la stagione, ero in campo, ma poi sono stato fuori un mese e mezzo per infortunio. Quando mi sono ripreso, c'è stato un altro cambio di allenatore, con un nuovo staff e un nuovo sistema di gioco. Anche se sono tornato nella squadra titolare, mi sono infortunato di nuovo e non ho potuto giocare per due mesi. Poi è successa la stessa cosa a inizio 2022: ero di nuovo titolare, ma mi sono di nuovo infortunato ad aprile e non mi sono ripreso fino a fine stagione".

Zsolt Kalmár (centrocampista della Nazionale ungherese, ndr) ha recentemente dichiarato che se ha una frattura o un legamento strappato, non può farci nulla, ma in molti casi le lesioni muscolari possono anche essere causate da un sonno inadeguato, una cattiva alimentazione e uno stile di vita scorretto. Incolpi te stesso?
"Ho cercato di fare autocritica, non voglio puntare il dito contro nessun altro. Molto dipende dalla preparazione fisica, dal riscaldamento, dallo stretching e dal lavoro in palestra. È stato impressionante quanti infortuni simili hanno avuto i miei compagni di squadra in quel periodo. Pandev, ad esempio, ha subito un infortunio muscolare appena due settimane dopo essere arrivato con noi. Ha detto di non aver mai avuto un infortunio del genere in carriera, a 38 anni. Comunque, non sto incolpando nessuno, ma ho deciso di fare un cambiamento. L'estate scorsa ho consultato diversi specialisti a casa e ho fatto un test di intolleranza alimentare. Dopo l'esame del sangue si è scoperto che gli albumi, i piselli e il latte di mucca hanno un effetto molto negativo sul mio corpo. Fino ad allora non lo sapevo nemmeno, mangiavo uova fritte a colazione quasi tutti i giorni e il latte è particolarmente consigliato per gli atleti. Sono passato a una dieta completamente nuova e dall'estate ho rafforzato molto le gambe. Anche adesso vado in palestra da mezz'ora a tre quarti d'ora prima e dopo l'allenamento. Non so se è l'allenamento o la nuova dieta, ma sono migliorato molto fisicamente da luglio e finora non ho avuto problemi muscolari in questa stagione."

Tornando alla domanda iniziale: sei soddisfatto dei tuoi progressi?
"In realtà non del tutto, perché dopo aver giocato in Serie A mi aspettavo di più da me stesso. L'esperienza più piacevole della scorsa stagione è stata quella di potermi presentare nella Nazionale di Marco Rossi. Gli altri miei ricordi sono meno positivi, perché non ho potuto giocare per molto tempo a causa di infortuni. Nell'ultimo mese e mezzo però sono entrato più stabilmente nella squadra".

Fabio Pecchia, ingaggiato la scorsa estate, è il sesto allenatore in quattro anni, cioè da quando sei al Parma. Questo potrebbe suggerire che non c'è la pazienza necessaria per dare a un allenatore il tempo per sviluppare un piano insieme alla dirigenza. Cosa percepisci dall'interno?
"Non sono nella posizione di criticare la dirigenza del club, non lo farò. Certo, non è positivo per nessun club o giocatore se l'allenatore viene cambiato ogni sei mesi o ogni anno e arriva regolarmente un nuovo staff con un approccio completamente nuovo. Il Parma è fallito nel 2015 ed è sopravvissuto grazie alla collaborazione di imprenditori locali. Dalla Serie D, cioè dalla quarta divisione, ha ottenuto tre promozioni consecutive fino alla Serie A, dove ha giocato stabilmente per un po'. Alla fine della stagione 2019-2020, stavamo lottando per un posto in Europa League. L'anno dopo è arrivato un nuovo proprietario, purtroppo siamo retrocessi e da allora gli allenatori sono cambiati spesso".

Mister Pecchia ha lavorato al fianco di Rafa Benítez al Napoli e al Real Madrid. Che approccio al gioco hai sviluppato a Parma?
"Sì, so che è stato assistente di Benítez a Madrid e Napoli, infatti parla un ottimo spagnolo. Di tutti gli allenatori che ho avuto qui, penso che il suo approccio sia il migliore. Ad esempio, cerchiamo di porre molta più enfasi sul possesso palla, cioè giocare con la palla. Ovviamente non a scapito del risultato. Un altro cambiamento è che giochiamo con quattro difensori invece di cinque. Mi piace molto anche il fatto che dica che non dovremmo adattarci all'avversario, ma attenerci ai nostri concetti di gioco. I miei ex allenatori facevano tre o quattro allenamenti video alla settimana, dove per un'ora analizzavamo esclusivamente la tattica dell'avversario. In 20 partite quest'anno, con mister Pecchia è successo forse due volte che abbiamo analizzato l'avversario con tanta profondità. Si fida di noi e ci concentriamo sul nostro gioco, questo è un aspetto molto positivo per me".

E Pecchia cosa ti chiede?
"Anche se sono uno dei giocatori e dei difensori più giovani, mi chiede di guidare la nostra difesa. Mi dice di fare uscire la mia voce e parlare molto in campo. E ovviamente, di cercare l'anticipo".

Attila Fiola (difensore della Nazionale ungherese, ndr) trova strano che molti club in Ungheria non si aspettino che i giocatori imparino l'ungherese a un livello base, anche anni dopo. Piuttosto, sono gli altri a doversi adattare:
"Dipende da allenatore ad allenatore. Quando sono arrivato a Parma, sono stato subito iscritto a scuola, e ho studiato italiano più volte alla settimana per diverse ore. Quindi mi hanno fatto capire che l'italiano è importante. Con un nostro ex allenatore, Roberto D'Aversa, si parlava solo italiano nello spogliatoio, mentre Enzo Maresca, che veniva dal Manchester City, parlava italiano, francese, spagnolo e inglese. È tornato al City come assistente di Pep Guardiola. Anche mister Pecchia mi dice di cercare di parlare il più possibile in italiano, ma parla bene anche l'inglese. Però ammettiamolo, la lingua italiana non è così difficile come il turco o, diciamo, il fiammingo, si può imparare".

Ho visto un video precedente in cui i giornalisti fanno domande in italiano e tu rispondi in inglese. Puoi rispondere in italiano oggi?
"Forse era un video dell'estate 2021, eravamo appena partiti per il ritiro. Già allora capivo quasi tutto, ma non avevo abbastanza sicurezza per rispondere in italiano, quindi parlavo in inglese. Sono il tipo che non vuole parlare se non parla correttamente. Oggi però posso rilasciare un'intervista in italiano senza problemi, sto anche pensando di fare il test di lingua in estate".

Negli ultimi due o tre anni sei stato compagno di squadra di giocatori della Nazionale, Dejan Kulusevski, Matteo Darmian, Gervinho, Bruno Alves. Che tipo di rapporto hai avuto con loro, cosa hai imparato da loro?
"Potrei forse citare Bruno, con il quale abbiamo giocato nella stessa posizione. È una persona molto simpatica, mi ha aiutato molto, ma se non facevamo quello che dovevamo in allenamento o in partita, ci sgridava. Tutti i suoi pensieri ruotavano attorno al calcio. Se mi sedevo accanto a lui a pranzo o tornavamo a casa insieme, non parlavamo delle ragazze o del tempo, ma lui mi spiegava come muovermi in campo o come non commettere lo stesso errore quel giorno. Era un giocatore incredibilmente professionale. Quando ero ancora nelle giovanili, capitava che nei miei giorni liberi andassi al centro di formazione per allenarmi, o mi sedessi nel bagno di ghiaccio o facessi una sauna. Bruno c'era quasi sempre, dedicava molte energie alla preparazione".

Qual è stata la tua esperienza con Goran Pandev e Gigi Buffon? Cosa puoi raccontare di loro?
"Purtroppo con Goran siamo stati compagni solo per sei mesi, ma fin dall'inizio si è dimostrato una persona molto gentile e diretta. Gli piaceva scherzare molto nello spogliatoio, andava d'accordo con tutti. Lo ammiravamo, visto che con l'Inter ha vinto anche la Champions League. E Gianluigi Buffon è una leggenda vivente. Da piccolo ero un grande tifoso della Juve, avevo la maglia di Buffon e i guanti da portiere di Buffon. Inoltre è molto diretto, cerca di aiutare tutti, mi dà anche tanti consigli durante le partite e durante gli allenamenti. Certo, ci sono i momenti in cui è serio, ma anche a 45 anni è quasi sempre il primo a fare scherzi".

I giocatori ungheresi che arrivano nei migliori campionati dicono sempre di aver dedicato molto lavoro extra al calcio, anche fuori dal campo. Molto più di un calciatore medio:
"Prima di trasferirmi al Parma giocavo nell'MTK e il mio atteggiamento non era ancora del tutto professionale. Non voglio dire che andavo a divertirmi alle feste con gli amici, semplicemente non svolgevo quel lavoro extra che ora vedo come necessario. Quando avevo 15-16 anni, non ero consapevole dell'importanza di un allenamento fitness extra o di un'alimentazione consapevole e molto riposo. Non ci prestavo la stessa attenzione dei coetanei intorno a me. Qui in Italia, nella squadra Primavera, mi sono abituato in fretta a questo stile di vita diverso, e non è stato per niente difficile, ero semplicemente contento di lavorare di più. Probabilmente avrei già accettato questo approccio più professionale anche all'MTK, ma non c'erano persone intorno a me che mi stimolavano come qui a Parma".

I tuoi pensieri riguardano solo il calcio?
"Durante la stagione, presto attenzione solo alle attività legate al calcio, ma durante le vacanze estive di un mese e mezzo cerco di staccare la spina e consapevolmente non mi occupo di calcio. Anche allora mi alleno costantemente, ma non guardo nemmeno le partite, sono con la mia famiglia e i miei amici".

Hai letto l'autobiografia di Zlatan Ibrahimovic?
"Ho il libro, ho iniziato a leggerlo, ma non l'ho ancora finito."

Avevi 17 anni quando ti sei trasferito a Parma con Márk Kosznovszky. Sebbene tu abbia giocato già lontano da casa con il MTK tra i 13 e i 17 anni, hai affrontato le sfide di vivere in modo indipendente in Italia?
"Io vengo da un piccolo villaggio vicino Sopron, Pereszteg. L'MTK mi ha chiamato all'età di 12 anni e mi sono trasferito in un dormitorio a Budapest. Allora non sapevo davvero cosa fosse l'indipendenza. Per quattro anni ho dovuto occuparmi delle faccende quotidiane, quindi quando sono arrivato a Parma non ho avuto particolari problemi. Un problema è che quando ero all'MTK riuscito a tornare a casa da Budapest ogni una o due settimane e potevo essere in costante contatto con i miei genitori e amici. In Italia questo non era più possibile".

Nel 2019 hai firmato per la Primavera del Parma, squadra di uno dei migliori campionati del mondo. Come avevi immaginato una squadra del genere, dove tutti remano per un obiettivo, per entrare nella prima squadra o per qualche altra motivazione?
"Bene, questo è un argomento interessante, rispetto all'Ungheria ci sono impulsi completamente diversi. La più grande differenza era che tutti stavano bene con tutti. All'MTK c'erano divisioni in gruppetti: chi sta bene con chi, chi va a casa con chi. A Parma io e Márk abbiamo notato che tutti parlano con tutti, sono in ottimi rapporti tra loro. Poi arriva l'allenamento, dove tutti vanno al 100 percento, si prendono a calci a vicenda, ma alla fine dell'allenamento il rapporto era buono come prima".

C'erano molti stranieri oltre a te in Primavera?
"La maggioranza erano stranieri. C'erano compagni di squadra rumeni, ghanesi, svedesi, spagnoli, slovacchi, argentini, ivoriani e greci. Eravamo una compagnia colorata, ma tra di noi c'è una grande armonia".

Eri un membro della nazionale U17 che è arrivata quinta agli Europei 2019 e ha sconfitto Portogallo, Russia e Belgio. Oggi, la spina dorsale di quella squadra gioca in seconda divisione ungherese, due giocano stabilmente in prima divisione, altri due sono riserve sempre nel massimo campionato ungherese. Un giocatore è arrivato nella prima divisione austriaca, un altro in quella belga e tu sei riuscito a presentarti in Serie A. Qual è la tua opinione, cosa servirebbe perché più giocatori ungheresi andassero all'estero, in un campionato di qualità superiore a quello ungherese?
"Penso che valga la pena esaminare la questione giocatore per giocatore e suddividerla in decisioni individuali. So che dopo l'Europeo Under 17, non solo io, ma anche altri membri della squadra hanno avuto contatti con squadre estere. Per qualche motivo non tutti volevano correre il rischio, ma non voglio fare nomi".

Gli hai forse chiesto perché non hanno voluto firmare per una squadra straniera?
"No. Non ho un quadro esatto di quello che serve per essere in un campionato importante. Certo è che una buona decisione va presa al momento giusto, ed è necessaria anche una grande dose di fortuna. Però eravamo una bella squadra, altrimenti non avremmo battuto il Portogallo, per esempio. Forse uno dei motivi per cui non tutti sono andati all'estero è che siamo ungheresi. Se l'Under 17 slovacca o polacca raggiunge il quinto posto, la maggior parte dei giocatori di quella quadra sarà presa da una forte squadra straniera".

L'appeal di un giocatore ungherese è ancora così debole? Anche rispetto a uno slovacco o a un polacco?
"Nemmeno io sono riuscito a spiegarmelo. In passato, non capitava spesso che un giovane ungherese andasse in una buona squadra straniera e ci restasse. Per questo, se ci sono due giocatori che giocano nello stesso ruolo e hanno le stesse capacità, ma uno è ungherese e l'altro polacco o slovacco, è certo che l'ungherese non verrà preso. Sfortunatamente, questo accade ancora molto spesso".

Abbiamo già parlato dell'MTK, sei cresciuto nel club, ne hai ricordi sia positivi che brutti. Guardando indietro, cosa rendel' MTK un'opportunità eccezionale, persino unica per un giovane giocatore, e cosa dovrebbero assolutamente cambiare?
"Se non è un problema, preferirei non parlare di questo argomento ora, di recente ho avuto dei problemi a causa di questo".

Ok, non ti voglio forzare. Non è necessariamente correlato a questo argomento, ma in un'intervista con NB1.hu in autunno, hai detto così: "Vedo spesso che non si fidano dei giocatori locali". Quale potrebbe essere la ragione di ciò, una mancanza professionale, il potere dei dirigenti, dei direttori di club o qualcos'altro?
"Non lo so sinceramente. Credo che ci siano molti giocatori ungheresi che meriterebbero molte più opportunità nella loro squadra. Altri, invece, magari non meriterebbero nemmeno tante occasioni per giocare, ma giocano comunque tanto".

Questo vale più per le squadre giovanili o per gli adulti?
"Quando giocavo in Ungheria non capivo bene come funzionassero le cose, anzi, guardando indietro rispetto al presente, vedo che ci sono calciatori che potrebbero tranquillamente inserirsi nelle squadre di prima divisione, ma giocano in seconda divisione. Questo è un mistero irrisolto per me".

Lo scorso settembre, Marco Rossi ti ha detto che se giocassi regolarmente a Parma, potrebbe chiamarti più spesso. Ti ha parlato di recente, ti sei avvicinato alla Nazionale?
"Ho parlato con Zsolt Laczkó, assistente di Marco Rossi, subito dopo la partita di coppa contro l'Inter. Non siamo entrati nei dettagli, vedono che gioco sempre di più a Parma e mi ha chiesto dei miei progetti per il prossimo futuro. In estate avevo detto al club che volevo giocare di più, quindi avrei preferito trasferirmi altrove, e siamo tornati su questo argomento all'inizio di gennaio. Ho avuto delle opportunità. Hanno voluto però che restassi e mi è stato detto che avrei avuto le mie opportunità di giocare di più. L'ho detto anche a Zsolt".

Che contatti hai avuto?
"Non voglio entrare nello specifico, ma io e il mio manager, Ferenc Fülöp, esaminiamo sempre le possibilità e insieme prenderemo la decisione migliore".

Sei all'inizio della tua carriera, hai già un piano per dopo?
"Non c'è un piano. Non ho intenzione di lavorare nel calcio più tardi, per ora non sono affatto attratto dalla carriera di allenatore, certo, chissà, forse cambierò idea un giorno. Sto cercando di raggiungere un livello con il calcio ora che posso rendere più facile la mia vita futura. Poi, ci mancherebbe, se dovesse sopraggiungere un grave infortunio, sono felice di imparare cose nuove. Il calcio professionistico e gli studi universitari allo stesso tempo non funzionano per me, ma nelle fasi successive della mia carriera potrei iscrivermi all'università. Prima di decidere di giocare a calcio, volevo diventare avvocato. Chissà, forse un giorno mi iscriverò a giurisprudenza".