Fuser: "Fu Eriksson a mandarmi a Parma. In un match contro la Roma, Capello mi convinse a firmare con loro"

05.11.2025 14:32 di  Nicolò Serventi   vedi letture
Fuser: "Fu Eriksson a mandarmi a Parma. In un match contro la Roma, Capello mi convinse a firmare con loro"
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© foto di Daniele Buffa/Image Sport

Diego Fuser, ex calciatore del Parma, ha rilasciato una lunga intervista a La Gazzetta dello Sport in cui ha affrontato diversi temi, dal suo arrivo nella città ducale, passando per i rimpianti con la Nazionale, fino alla tragica scomparsa di suo figlio Matteo a soli sedici anni. Ecco di seguito le sue parole:  

Arrivò poi il suo passaggio al Parma, con l'addio doloroso alla Lazio. Come andarono le cose? Con Eriksson ha mai parlato?
"Alla Lazio sono stati quattro anni bellissimi, ho avuto l’onore di indossare la fascia da capitano e sollevare coppe. Dispiace per come è finita... Non è un segreto che Mancini avesse molto potere in quella Lazio. Eriksson lo ascoltava molto. Mandarono via me, Signori e altri. Avevano altri piani. Eriksson mi disse che se a Parma mi davano più soldi sarei dovuto andare. La Lazio non fece nulla per tenermi”.

Poi, tre anni dopo, decise di tornare a Roma, ma per giocare con i giallorossi. Come andò?
“Prima di Roma-Parma, ultima di campionato, Capello mi avvicinò durante il riscaldamento e mi chiese se l’anno successivo sarei andato a giocare con loro. Io dissi di sì immediatamente. Poi, qualche settimana dopo, formalizzammo tutto”.

Ha qualche rimpianto?
“Legato alle mie scelte no. Ne ho uno sulla nazionale: la mancata convocazione all’Europeo del 2000 mi ha fatto male”.

Sulla panchina della Nazionale sedeva Zoff. Sarebbe stata la perfetta chiusura di un cerchio…
“Avevo giocato tutte le partite delle qualificazioni, come con Maldini due anni prima. Però con Zoff il rapporto era diverso. Mi ero infortunato, ma stavo recuperando e glielo dissi, lui decise comunque di non portarmi. È una ferita che non si è mai del tutto rimarginata”.

Fu in quel periodo che scopriste la malattia di Matteo?
“Sì, scappavo dagli allenamenti per correre da mio figlio. Uscivo e passavo la serata in ospedale con mia moglie. Abbiamo lottato tanto. Anche Matteo lo ha fatto. Purtroppo ci sono circostanze in cui nessuno può farci niente”.

È stata una tragedia che ha scosso il mondo del calcio. Sono passati 14 anni, in cosa l’ha cambiata?
“In tantissime cose, mi creda. È stato un evento che ha stravolto la nostra vita, devastandola per sempre. Ti segna dentro, è difficile da spiegare. Provi ad accettarlo ma cerchi risposte che non esistono. Non penso ci sia un dolore grande come la perdita di un figlio. Niente è stato più come prima. Allo stesso tempo, però, il suo esempio mi ha dato tanta forza, viviamo per lui ogni giorno”.

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