Valenti: "A Parma siamo diventati una famiglia. Momento più difficile? L'infortunio al ginocchio. Sogno la chiamata dell'Argentina"

"A Parma siamo diventati una famiglia nello spogliatoio". Parole importanti quelle di Lautaro Valenti a Fox Deportes per far capire quanto sia bello il legame tra i giocatori. Il difensore argentino ha trovato spazio, soprattutto con l'arrivo di Chivu, dove ha dimostrato di poter essere un giocatore fondamentale nella difesa gialloblu. Alle spalle il momento difficile con quella reazione verso i tifosi e le successive scuse: "Mi arrabbio in campo, anche con i compagni, ma più con me stesso perché pretendo il massimo". Il classe '99 ha raccontato la sua storia: dagli inizi fino all'arrivo in Europa e l'obiettivo di guadagnarsi la chiamata dell'Argentina di Scaloni.
Gli inizi con il calcio in Argentina: "Mio papà è stato calciatore (portiere ndr), ma ha dovuto smettere per un infortunio. Ma devo la passione un po' più a mio nonno... Giocava nel fine settimana, allora io il sabato sera dormivo a casa sua e poi la mattina dopo andavo a vedere la partita. Era un momento bellissimo. Poi a quattro anni ho iniziato a giocare in un club del mio quartiere, il Deportivo Rosario. Successivamente al Rosario Central..."
Dal calcio agli studi: "Non mi piaceva per niente studiare, così dopo qualche anno, già alle superiori, ho detto a mia madre che non sarei andato più a scuola perché volevo diventare calciatore. Perché ero appassionato solo di calcio. Mi piaceva solo quello. Non studiavo, non mi piaceva. Ma alla lunga ti rendi conto che quello che impari a scuola è importante. Certo, per questo uno ci va controvoglia, ma alla fine, serve. Calcio? Mi sono resto sin da piccolo del mio potenziale. Anche i miei genitori me lo dicevano, perché all’inizio giocavo come attaccante, numero 9. Ero alto, forte. Poi, quando sono andato al Rosario Central, mi hanno spostato più indietro. Ho giocato come esterno sinistro, terzino, e poi sono rimasto difensore centrale. E anche lì mi dicevano che avevo molto potenziale per arrivare in prima squadra".
Il sostegno dei genitori e la convinzione di arrivare: "Me ne sono reso conto da solo. I miei genitori sì, continuavano a dirmi che avevo potenziale, ma io lo capivo da solo. Mi allenavo al massimo in ogni allenamento per non perdermi nulla, imparare tutto quello che mi insegnavano e trarne il massimo. Sono sempre stato convinto: io diventerò calciatore. Volevo arrivare in prima squadra il prima possibile e giocare nella Prima divisione in Argentina. Europa? Non ci pensavo. In quel momento ero molto giovane e giocavo nelle giovanili di un grande club come il Lanús, e ho avuto la fortuna di debuttare lì. Dopo il debutto, sapevo che le cose si sarebbero evolute".
I cambio ruolo e l'arrivo al Lanus: "Da piccolo mi hanno messo una volta come numero 9 e siccome ero alto e forte, mi è andata molto bene. Segnavo tanti gol e avevo vantaggio sugli altri della mia età. Quindi sono rimasto attaccante. Poi, quando sono passato al calcio a undici, era molto diverso. Così mi hanno spostato esterno, terzino, fino a diventare difensore centrale. Lanus? A 15 anni sono andato lì. Sono andato a vivere nella pensione del club, da solo. E lì ho fatto tutte le giovanili, la riserva. Via da casa? Non è che volessi andarmene da casa, ma volevo realizzare il mio sogno.
L'esordio al Rosario e l'arrivo a Parma: "Nel 2019 ho debuttato in prima squadra, ho fatto un anno di carriera. L'ho saputo una settimana prima. Il weekend prima del debutto avevo giocato in riserva, avevo fatto un gol, e la settimana dopo mi hanno portato in prima squadra e messo titolare, sempre come difensore centrale. Quando sono arrivato al Lanús ero già difensore centrale. Quando sono arrivato al Lanús è stato un cambiamento enorme. C’era tanta qualità, gli allenatori ci mettevano tanta passione nell’insegnare. La linea della prima squadra si rifletteva nelle giovanili, e si imparava tutto fino ad arrivare in alto. Poi sono passato direttamente al Parma. Non ci credevo, era solo un anno che giocavo in prima squadra. Era troppo presto. È stato tutto molto improvviso, una locura. Io volevo venire in Europa, ma non così presto... Sono tornato a Rosario per stare con la mia famiglia e poi sono partito per Parma".
Sul cambio di vita: "È stato un cambiamento piuttosto drastico, diciamo. Perché vivevo nella pensione del Lanús con tutti gli altri ragazzi, e poi venire qui, lontano, a vivere da solo, è stato un cambiamento forte. Non tanto per me, ma per la mia famiglia. Io ero abituato a stare da solo, ma per loro è stato più difficile. Un po’ di felicità, un po’ di tristezza, entrambe le cose insieme per loro. Ma come ho detto, io volevo continuare a inseguire il mio sogno di arrivare alla nazionale argentina".
Il sogno Argentina: "Sono stato nella selezione Under 20, o forse Under 19, non ricordo bene. Credo Under 19. È stato un torneo in Bolivia. Non ricordo come è andata, ma a livello personale è stato bellissimo indossare la maglia della nazionale argentina. In quel momento ero ancora al Lanús, nelle giovanili. Quindi ho continuato a lavorare con la speranza di avere un’altra opportunità, magari con la nazionale maggiore. Sono tranquillo. Sono ancora giovane, ho tempo. Ma il tempo vola. Quindi bisogna fare le cose bene e aspettare la chiamata. Non è facile, ma... ci sono tanti difensori forti, anche giocatori più anziani come Otamendi, che non ha molto tempo ancora prima di ritirarsi. E poi inizierà il ricambio con i giovani. Quindi stiamo lavorando per arrivarci".
Gli anni a Parma con la retrocessione: "Quell’anno, quando sono arrivato, eravamo in Serie A, ma nella parte bassa della classifica. E proprio quell’anno siamo retrocessi. È stato triste. Quando arrivi in un club vuoi restare nella massima categoria, giocare contro i grandi. Mi dispiaceva per il club, per la gente che lavora ogni giorno e si impegna tanto. Il passo successivo? Continuare a lavorare, lottare di più per riportare il club dove merita. La Serie B? L’anno dopo eravamo tranquilli perché sapevamo di avere una buona squadra per risalire. Ma non è andata benissimo. Ci sono stati molti cambi di giocatori, ma sempre con la mentalità di tornare in Serie A. L'ambizione si mantiene impegnandosi ogni giorno, volendo sempre di più. Anche per la gente che lavora nel club, che merita di stare in alto. E il gruppo deve essere unito. Se non sei unito, non arrivi da nessuna parte. Noi abbiamo formato una famiglia nello spogliatoio. Tutti sulla stessa barca, tutti avanti insieme".
La Serie B, i play-off e la promozione: "Due anni fa abbiamo giocato i play-off, siamo stati molto vicini ma non ce l’abbiamo fatta. Eravamo all’ultima partita e abbiamo avuto sfortuna. Ma l’anno scorso siamo partiti molto bene e, nonostante le difficoltà, siamo sempre rimasti primi fino all’ultima giornata. C’è sempre da migliorare, in tutto. Ma potrei migliorare nell’uno contro uno, nei duelli aerei, in tutto ciò che riguarda la difesa. Poi quando vai in area avversaria, se ti arriva la palla, devi buttarla dentro. È difficile, ma devi far valere quello che sei dentro l’area".
L'infortunio e il momento difficile: "Sì, due momenti. Uno è stato la rottura del legamento e del menisco. E poi, un mese dopo, è nato mio figlio. Anche se l’infortunio è stato pesante, la nascita di mio figlio mi ha cambiato. Mi ha cambiato la mentalità, la prospettiva. È stato un periodo tranquillo anche perché è arrivato a fine stagione, durante le vacanze, quindi ero un po’ più rilassato. Devi essere forte per tornare più forte di prima. Altri momenti difficili in carriera? No, in realtà no. I problemi che ho avuto non mi hanno mai bloccato. Sono molto forte mentalmente e lascio che le cose accadano come devono. Poi la vita ti sistema tutto".
Il carattere in campo: "In campo mi arrabbio, abbastanza. Mi arrabbio più con me stesso o con i miei compagni, perché so che possiamo fare meglio. A volte mi arrabbio perché non fanno quello che dovrebbero fare. Ma nella mia testa c’è sempre l’idea di aiutare i compagni. Anche se mi arrabbio, è perché pretendo il massimo da tutti. Quindi pretendi dagli altri, ma anche da te stesso. Esattamente. Ognuno deve dare il massimo di sé". E a chiudere un consiglio per i giovani: "Di lavorare duro. Il lavoro duro paga sempre. Come diceva un mio amico: “Il lavoro duro paga sempre”. A lungo termine, ogni sacrificio ha la sua ricompensa. Bisogna focalizzarsi su ciò che si vuole e andare dritti verso quell’obiettivo".
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