Calcagno: “Abbiamo talento, ma ci sono pochi italiani in A. Serve cambiare mentalità”

01.07.2025 08:54 di  Bartolomeo Bassi   vedi letture
Calcagno: “Abbiamo talento, ma ci sono pochi italiani in A. Serve cambiare mentalità”
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In occasione dell’apertura del calciomercato, con un evento che si è tenuto al Grand Hotel di Rimini, Umberto Calcagno, il presidente dell’Associazione Italiana Calciatori ha parlato a TMW riguardo alla mentalità verso i giovani in Italia. Tematica vicina al Parma, che si è contraddistinto come molto attento sui giovani, ma in Italia squadre come i gialloblu sono ancora una mosca bianca. In apertura un pensiero anche sulla nuova guida tecnica della Nazionale.

Da vicepresidente federale, un commento sull’avvicendamento tra Spalletti e Gattuso sulla panchina della Nazionale?
“Il talento lo abbiamo, però i calciatori italiano che giocano in Serie A sono pochi. La colpa non può essere della Serie A o delle società: dobbiamo interrogarci, partendo dalla base, se non si debba migliorare qualcosa. Il coinvolgimento di Prandelli, Zambrotta e Perrotta va proprio in questa ottica: non c’è solo una nuova conduzione della Nazionale, ma tutta un’altra struttura federale che si interesserà a tutta la filiera. Non c’è solo da curare il talento, ma anche da insegnare calcio con una modalità diversa”.

Le nazionali giovanili vanno anche abbastanza bene, quella dei grandi meno…
“Le statistiche parlano chiaro: i nostri ragazzi dai 19 anni in poi si perdono. Le seconde squadre ci hanno già dato e ci daranno ancora una mano. Il fatto di poter competere in un campionato vero, come oggi è la Serie C, migliora e velocizza la maturazione di chi ha talento. Però non basta. Dobbiamo cercare di capire, partendo dalla base, se stiamo insegnando calcio nel modo migliore. Abbiamo sbagliato impostazione, oggi anche nei settori giovanili si scimmiotta tutto quello che si fa per le prime squadre: non c’è più cultura e bisogna lavorare sui formatori. Dobbiamo cambiare mentalità. Ai miei tempi avevamo allenatori che facevano di mestiere questo, non erano di passaggio per poi ambire ad allenare le prime squadre. Dobbiamo tornare a questo e a una cultura diversa”.

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