Ancora Buffon: "Il mio sogno era vincere lo scudetto con il Parma. Alla Juventus andai perché..."

A margine della cerimonia della consegna del Sigillo della Città di Parma a Gianluigi Buffon presso l'Auditorium Paganini, l'ex portiere ha ripercorso le tappe della sua lunga esperienza con la maglia crociata (leggi QUI la prima parte): "Secondo me mi ha aiutato tanto essere fatto in un certo modo e affrontare le situazioni come faccio. Spesso faccio delle classifiche sugli uomini, e spesso non so se prendere l'intelligenza, la lealtà, poi vedo che la cosa che mi colpisce di più in realtà è il coraggio. Penso che per me sia la qualità numero uno: spesso e volentieri la fine di questi uomini coraggiosi è quasi ingloriosa. Sono eroi che spesso perdono la loro battaglia e accanto a loro non ci sarà nessuno, ma verranno ricordati ed esaltati ancora di più. Sono quegli eroi che mi fanno impazzire, dimostrano di avere un'insensatezza ma anche un'enorme lealtà, che si traduce in un coraggio che gli permette di affrontare sfide incredibili. Certe volte mi ritrovo anche in loro".
Perché sei andato alla Juventus?
"Sono andato alla Juventus a un certo punto perché avevo ventitré anni, un futuro radioso davanti e il sentore-certezza che il Parma stesse un po' regredendo in quanto ad ambizione e progetto. Questo aveva fatto sì che inevitabilmente anche io mi guardassi intorno, anche perché sinceramente ho avuto proposte sin dall'inizio. Da quando avevo diciotto anni ho avuto intorno le migliori società. C'era il fratello di Ferguson che è venuto a vedermi tutte le domeniche per due anni per seguirmi per conto del Manchester United. Però non mi interessava: il mio obiettivo era provare una sfida impossibile come vincere lo scudetto con il Parma, perché secondo me ne avevamo le possibilità. Secondo me era la soddisfazione che più mi avrebbe garantito di aver ridato al Parma e alla gente quello che meritava. Ho ingaggiato questa sfida credendoci: dopo sei anni ho capito, anche con persone vicino a me che mi hanno fatto vedere con lucidità le cose, che c'era bisogno di fare un altro tipo di esperienza. In quell'anno avevo tre offerte importanti da parte di Juventus, Roma e Barcellona. Andai in vacanza e dissi al mio procuratore e a mio padre: "Guardate voi quello che secondo voi è meglio per me". Nel senso che io avevo delle preferenze, ma capivo che erano dovute alle viscere, allo stomaco. Capendo questo mio limite e fidandomi del mio procuratore e di mio padre, dissi loro di scegliere secondo loro quello che sportivamente fosse meglio per me. Così quando sono tornato mi sono ritrovato alla Juventus".
Il richiamo di Parma si è fatto così forte negli anni che non l'hai potuto ignorare.
"Il richiamo di Parma è stato molto semplice. Non ci avevo pensato inizialmente, poi aveva iniziato a chiamarmi il direttore sportivo verso aprile e mi chiese: "Verresti?". Io gli chiesi come mai gli fosse venuto in mente, su quale base. Dissi che ci stava anche che smettessi di giocare. Poi nel tempo questa possibilità si è alimentata, e ricevevo messaggi da persone di Parma. A un certo punto mi sono fermato passando da Parma, c'era la radio accesa e mentre passavo c'era una canzone di Jovanotti, che sentivo sempre quando a Parma andavo verso il campo di allenamento. Devo dire che, come fossi stato stregato, ho pensato che fosse come un segnale, perché avevo voglia di emozionarmi ancora. Poi arrivò il mio procuratore e mi disse del Barcellona: risposi che sarei stato contento, perché così avrei giocato con Messi. Sarebbe stata una chiusura di carriera molto bella. Poi però gli dissi che sarei stato ancora più felice e con più stima di me stesso se fossi andato a Parma. Anche perché il Parma era in Serie B e forse aveva bisogno di uno come me. Per stare a posto con la mia coscienza, ho preferito andare a Parma".
Perché è stato giusto chiudere la carriera a Parma?
"E' stato giusto perché volevo ricollegare questo filo conduttore con Parma e la sua gente. Il mio passaggio alla Juventus aveva reso infelice le persone e che ci fossero polemiche. Io non pensavo di meritarlo, perché alla fine si può dire tutto di me, ma non ho mai baciato stemmi perché secondo me bastava quello che facevo in campo per far vedere quanto ci tenevo per la causa che ho sposato. Il tifoso lo percepiva, per cui non ho mai sentito il bisogno di baciare stemmi. Mi sono sempre speso per la gente che rappresentavo. Il fatto che fossi passato alla Juventus, che era ed è ancora una rivale storica del Parma, è un qualcosa che inevitabilmente ha deluso parte della tifoseria, ma era una scelta anche inevitabile per un ragazzo di ventitré anni che era in ascesa e non poteva fare altri tipi di scelte se voleva confermarsi e consacrarsi a certi livelli. Forse non avevo ancora l'esperienza per gestire questo tipo di situazione. Quindi ogni volta che tornavo per me era un'emozione grande: la maggior parte della gente mi salutava con affetto, però chiaramente qualcuno era rimasto ancora scottato. Questo mi dispiaceva, non lo ritenevo giusto per quello che avevo dato a Parma. La possibilità di tornare e ripartire insieme, mettendo tutto in pari, l'ho trovata un'opportunità importante da sfruttare".
Cos'hai pensato esattamente quando il Parma è tornato in Serie A?
"Ho pensato alla felicità della gente, al sospiro di sollievo della società, che ha profuso veramente tanti sforzi sotto il profilo economico e delle energie. Avevano bisogno di questa vittoria per dare senso al progetto. Poi ho pensato ai ragazzi, perché qualcuno ha vissuto tre anni di sofferenze per questo risultato che non veniva, quindi ho pensato a loro e ai loro meriti. All'allenatore, che insieme allo staff è stato bravo a comprendere cosa ci fosse bisogno. E poi ho pensato anche a me stesso, perché ho concluso con una grande delusione: non aver superato il playoff con il Cagliari è stato deludente. Ho smesso però con la convinzione che la squadra fosse sul trampolino di lancio, perché gli ultimi mesi l'anno scorso furono convincenti. Potevo quindi ritirarmi con serenità, perché avevo la certezza che brutte figure non se ne sarebbero più fatte. Per me il Parma era una squadra forte ma non la più forte, anche se lo ha dimostrato sul campo: c'erano squadre che sulla carta erano più attrezzate, e questo fa sì che i meriti di tutti siano ancora maggiori".
Ora sei capo delegazione della Nazionale. E dopo? Può essere ipotizzabile, un giorno, un tuo ritorno a Parma?
"Penso che nella vita tutto sia ipotizzabile, se sono tornato dopo vent'anni da calciatore a 44 anni significa che per me è tutto possibile. Ho una testa che mi porta a pensare che tutto si possa verificare. Non c'è un'opzione che non esiste. In questo momento il Parma secondo me ha trovato equilibrio in quanto a società, dirigenti, allenatore e tutto quanto. Quando le formule sono vincenti secondo me è meglio non toccare nulla: questo è quello che mi sento di dire".