Sensini: "Parma del 1999 squadra forte. Avremmo potuto vincere lo scudetto se..."

12.05.2020 22:14 di Vito Aulenti Twitter:    vedi letture
Sensini: "Parma del 1999 squadra forte. Avremmo potuto vincere lo scudetto se..."
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In occasione del ventunesimo anniversario del trionfo del Parma nella finale di Coppa UEFA contro il Marsiglia, Nestor Sensini è intervenuto ai microfoni Sky per rivivere quegli indimenticabili momenti di gioia: "Rivedere quelle immagini fa sempre piacere, sono stati dei momenti molto felici, molto belli. Quel Parma era forte, però bisogna sottolineare come la società ducale avesse già costruito qualcosa di importante in precedenza, sia a livello nazionale che europeo. Eravamo una rosa importante: oltre a quelli di cui si parla sempre, ricorderei anche gente come Asprilla, Fiore e Balbo. Quell'anno arrivammo quarti in campionato, però io ricordo che stavamo lottando con la Lazio: perdemmo col Milan e da lì non riuscimmo a tenere il passo delle squadre che erano davanti a noi. Del resto avevamo anche altre due competizioni a cui pensare".

Che ricordi hai di Grun?
"Il Parma ha pensato a me quando Georges si è fatto male. Era una grandissimo giocatore, che permetteva di giocare sia a tre che a quattro dietro. Io ho giocato poco con lui, l'anno seguente è andato via. Però per quella squadra era più che importante".

Ci racconti un aneddoto su Asprilla?
"Su Tino si potrebbe scrivere un libro. Ricordo che in ritiro, trasformavamo la camera in una specie di casinò. C'eravamo io, Tino, Balbo, Mussi, Veron e Crespo, il quale annotava i soldi che ognuno doveva dare all'altro. Tino ad un certo punto mangiò il foglio degli appunti e disse ad Hernan: 'Lo vedi che non ti dovevamo dare niente?' (ride, ndr). Lui era così, sempre felice, viveva la vita in quella maniera. Quando stava bene era uno dei più difficili in assoluto da marcare: aveva tecnica, velocità e calciava bene. Quando aveva voglia, era difficilissimo da fermare".

Tornando alla Coppa UEFA, il Parma faceva un po' più di fatica all'andata rispetto al ritorno.
"Sì. In casa le abbiamo vinte tutte, soffrivamo un po' fuori. Ma quando giochi in queste competizioni trovi sempre delle difficoltà, l'episodio può cambiare tutto. In ogni caso, la nostra è stata una vittoria meritata. E lo abbiamo dimostrato in finale".

Quanto era forte Chiesa?
"Enrico faceva quella finta a rientrare che vedo fare anche al figlio. Aveva una facilità di calcio incredibile, è stato il nostro capocannoniere in quella coppa. Era difficile da marcare. Non so se ha raggiunto tutto ciò che meritava, ma è stato un grandissimo giocatore".

Che ricordi hai di Eriksson e dell'esperienza alla Lazio?
"Eriksson era un gentiluomo, non riuscivi ad arrabbiarti quando ti lasciava fuori. Era un grandissimo allenatore. Ricordo l'attesa per il triplice fischio di Perugia-Juve, fu una sofferenza incredibile che poi si trasformò in una gioia incontenibile. Quello fu il mio unico scudetto".

Si dice che Messi voglia finire la carriera nel Newell's Old Boys. Succederà presto?
"Lo stiamo aspettando (ride, ndr). Lui è nato qui calcisticamente, per noi sarebbe qualcosa di inimmaginabile averlo qui, mi auguro succeda presto". 

Perché non siete mai riusciti a vincere lo scudetto?
"Allo scudetto siamo stati vicini, soprattutto con Carletto Ancelotti. E' difficile dire perché non siamo mai riusciti a vincerlo, probabilmente c'erano delle squadre migliori. Il 1998-1999 è stato un anno importante in cui si poteva pensare di vincere. A Milano era una partita decisiva, ma perdemmo 2-1 e lì finì un po' tutto. Poteva essere un anno ancora più importante, c'erano i presupposti per fare meglio del quarto posto. Lo scudetto è sempre stato un obiettivo della società, ma vincere il campionato in Italia non è affatto semplice".

Sulla panchina di quel Parma c'era Malesani.
"Noi l'anno prima giocavamo con la difesa a quattro. Lui portò la difesa a tre, all'inizio non fu semplice entrare nei suoi meccanismi. Ma lui credeva molto nelle sue idee e alla fine ci capimmo. A noi difensori spiegava che non dovevamo retrocedere quando gli altri avevano la palla, voleva che la squadra pressasse alta".