Il Tempo - Il mito del Parma che rinasce dal basso

02.08.2015 11:11 di  Redazione ParmaLive  Twitter:    vedi letture
Fonte: Simone Pieretti per il Tempo
Il Tempo - Il mito del Parma che rinasce dal basso
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Quattromila abbonamenti in tre giorni. I tifosi del Parma marciano accanto alla propria squadra per la rinascita del club ducale. Non era mai successo prima d’ora che una squadra di serie D ottenesse tanti consensi. La nobile decaduta proverà a rialzarsi, le note dell’Aida galleggeranno vibranti all’interno del Tardini per accogliere la squadra gialloblù dal passato glorioso e tormentato. Glorioso perché in bacheca ci sono quattro trofei europei, (due coppe Uefa, una Coppa delle coppe, una Supercoppa Europea) e tanto per chiarirci le idee, dopo Milan, Inter e Juventus, il Parma è la squadra italiana che ha vinto di più in Europa. Tormentato perché nel corso di un secolo e poco più, i fallimenti non stati molteplici. Ma il passato del Parma è anche magico, perché tutto nacque dalla bacchetta del maestro Giuseppe Verdi. La prima società calcistica parmense venne chiamata Verdi Foot Ball Club, fondata per celebrare i cento anni dalla nascita del musicista. Le vicende sportive nei primi anni di vita furono altalenanti, (un solo campionato di divisione nazionale nel 1924-25) successivamente arrivarono a essere anonime; per rivedere il Parma in serie B servirono i gol di Vycpálek a metà degli anni cinquanta. Un decennio in cadetteria, una retrocessione, poi il fallimento. Dalla polvere all’altare, dall’altare alla polvere, un percorso che la squadra calcistica ducale ha vissuto ciclicamente, manifestando alterne sofferenze economiche. I primi cenni di risveglio a metà anni ottanta, quando l’attuale tecnico della Lazio Stefano Pioli segna in trasferta, contro la Sanremese, il gol che vale la promozione in serie B. Anche questa volta sembra un’illusione, perché la stagione successiva la squadra retrocede ancora. Ma la svolta è dietro l’angolo: sulla panchina del Parma arriva la mente illuminata di Arrigo Sacchi da Fusignano. I suoi trascorsi sportivi non sono esaltanti, è stato un modesto difensore, si dedica al calcio nel tempo libero, quando smette di lavorare nel calzaturificio di famiglia. È caparbio, maniacale, scientifico. Sarà un rivoluzionario, manderà in soffitta la figura del libero per buona pace della categoria. Il Parma torna in serie B ed elimina il Milan stellare dalla Coppa Italia: tra il tecnico e il presidente rossonero è amore a prima vista. Sacchi va a Milano, arriva Zeman che prende a schiaffi la Roma in precampionato, umilia in amichevole il Real Madrid di Hugo Sanchez e Butragueno, poi ottiene cinque vittorie consecutive in coppa Italia, eliminando il Milan di Gullit e Van Basten.

Ma qualcosa si rompe, i rapporti col diesse Sogliano non sono idilliaci, e Zeman viene esonerato. Per il grande salto bisogna attendere l’avvento di Nevio Scala, l’attuale presidente della rinascita, che nell’estate delle notti magiche, riesce a regalare la prima, storica promozione in serie A. Negli anni novanta il Parma è un modello. La squadra cresce anno dopo anno, ha due terzini offensivi come Benarrivo e Di Chiara, due corazzieri al centro della difesa come Minotti e Apolloni, in mezzo al campo può contare sull’efficacia di Cuoghi e Zoratto, Gabriele Pin è un regista eccellente, Sandro Melli il fromboliere, Thomas Brolin è una seconda punta di livello. E c’è anche «il sindaco» Osio che segna il gol decisivo nella finale di coppa Italia contro la Juventus. Il primo trofeo è solo l’inizio di una meravigliosa favola. La squadra della storia, quella che nel tempio del calcio di Wembley conquista nel 1993 la Coppa delle Coppe, ha anche l’estro di Fausto Pizzi, e la potenza fisica di Tino Asprilla, attaccante colombiano che quando non è indaffarato con la pornodiva Petra sa essere ficcante anche sotto porta. Nel 1994 arriva Gianfranco Zola, il Parma di Scala bissa la finale di Coppa delle Coppe perdendo contro l’Arsenal, ma alza al cielo la Supercoppa Europea battendo il Milan a San Siro. L’anno successivo gli emiliani rischiano il triplete: terzi in campionato, sconfitti contro la Juve la finale di coppa Italia ma vittoriosi - sempre contro i bianconeri - nella finale di coppa Uefa decisa da Dino Baggio. Un campione tira l’altro, ed ecco direttamente dal Barcellona l’attaccante bulgaro Hristo Stoichkov. Con lui c’è anche il giovane Pippo Inzaghi. Si chiude il ciclo di Nevio Scala, si apre quello di Carlo Ancelotti che sfiora lo scudetto al primo tentativo: la squadra arriva seconda, a due punti dalla Juventus. Ora i campioni si chiamano Buffon, Cannavaro, Thuram, Crespo, Chiesa, e si presentano per la prima volta sul palcoscenico della Champions. Il glorioso percorso continua con la vittoria della seconda coppa Uefa a Mosca - nel 1999 - contro l’Olympic Marsiglia, un’altra coppa Italia vinta contro la Fiorentina, il successivo trionfo in Supercoppa Italiana contro il Milan nel 2000. L’ultimo acuto nel 2002, la terza coppa Italia. È il canto del cigno dopo le cessioni di Buffon e Thuram alla Juve. Da lì un lento declino, l’ennesimo fallimento, l’ennesima retrocessione, l’ennesima rinascita, l’ennesimo crollo. Scala ha scelto i granatieri della sua difesa per tornare nel calcio che conta: l’allenatore sarà Apolloni, Minotti il diesse. Ora si riparte dall’inferno della Serie D, con quattro mila tifosi indemoniati e un presidente che ha già scritto la storia.